Si ricomincia, con calma.

Di solito, dopo la pausa estiva, mi piace ricominciare con settembre, ma quest’anno settembre è stato mese di cambiamenti, di novità, e quindi mi son dovuto concentrare su quel che succedeva là fuori. Così è già arrivato ottobre, e tuttequestecose è stato in silenzio fin troppo a lungo. Però adesso si riparte, e il problema vero – ora – è che in questi mesi di cose da dire, da segnalare, su cui riflettere, se ne sono accumulate fin troppe, e non si sa da dove cominciare.

Cominciamo allora, senza troppo impegno da parte mia, con due o tre segnalazioni:

1. Dicono che vogliono fare “La Buona Scuola”, ma intanto continuano a tagliarla, e taglia taglia finirà che tutti ci convinceremo che bisognerà farla finanziare ai privati, perché così non si va più avanti, e quando arriveranno i privati con i loro soldi, le loro idee, la loro organizzazione e magari anche la loro didattica, noi saremo costretti ad essere perfino contenti. La prenderanno, ci prenderanno, insomma, per fame. E le menti più brillanti, intanto, invece di stare in classe a insegnare devono passare il tempo a scrivere begli articoli, giustamente indignati, nei blog.

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2. Ieri sera sono stato alla presentazione di un libro. Ci sono andato – lo confesso – con un certo scetticismo, e più per amicizia verso gli organizzatori che per altro. Il titolo del libro (Da Moro a Berlinguer. Il Pdup dal 1978 al 1984) e la mole (oltre 400 pagine) non facevano francamente ben sperare, e qualche amico mi aveva detto di aspettarsi, da una serata del genere, una sorta di “riunione di reduci garibaldini”. Be’, mi sono dovuto ricredere, e di molto: gli autori, Carlo Latini e Valerio Calzolaio, hanno una forza e una intelligenza (compresa quella superiore forma di intelligenza che è l’autoironia) che la maggior parte dei politici oggi sulla cresta dell’onda se la sogna proprio. E la storia della politica di quegli anni ha un sacco di cose da insegnarci, la prima è saper valutare la misura di una distanza abissale fra le prospettive di allora e lo spaesamento presente.

A chi non volesse leggere tutto il libro, sottopongo almeno la prima pagina, dalla prefazione di Luciana Castellina:

Del secolo scorso ai miei nipoti, e a quelli della loro generazione, im-
porta poco. Lo considerano anzi un’epoca oscura, colma di errori e di
orrori: guerre, persecuzioni, sconfitte da tutte le parti. In dettaglio, di
quanto realmente accaduto durante il Novecento, non conoscono qua-
si niente. I sondaggi compiuti ogni tanto nelle università (non dunque
al mercato, ma fra quelli che hanno studiato) danno risultati agghiac-
cianti. Alla domanda: «Chi ha vinto la Seconda guerra mondiale?», una
maggioranza ha risposto: l’America e la Germania. Ancora peggio alla
domanda sul Pci: sapevano dire qualcosa di questo partito? Sì: che era
stato al governo negli ultimi cinquant’anni.
Io non credo ci sia mai stata una rottura generazionale così profonda
come quella oggi intervenuta, una rimozione così completa del passato.
Né penso, però, sia stata, se si è verificata, colpa del destino. Penso piut-
tosto si sia trattato del risultato di un’operazione voluta e non innocen-
te. Voluta per cancellare non solo un pezzo di storia, ma l’idea stessa del-
la storia, vale a dire di avvenimenti che via via cambiano il modo di esi-
stere dell’umanità, nel meglio e nel peggio, e dunque aprono anche la
prospettiva che tornino a trasformare lo stato di cose esistente. Il risulta-
to è che a essere cancellato finisce per essere anche il futuro, di cui non
si riesce più a cogliere le possibilità. Tutti, insomma, chiusi nella gabbia
del presente. Molto comodo per chi vuole tagliare persino la fantasia,
l’idea stessa che il mondo possa essere cambiato. Non solo: comodo an-
che per chi detiene il potere e vorrebbe conservarlo contro ogni muta-
mento e perciò cerca con ogni mezzo di rendere incomprensibile anche
il presente: come ha scritto un filosofo contemporaneo importante,
Giorgio Agamben, per conoscere l’oggi devi studiare archeologia
 
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3) Un altro libro che ho letto di recente (e come il precedente nato da queste parti, fra le colline del maceratese) è Femminile plurale, un viaggio nelle Marche attraverso lo sguardo di diciassette scrittrici molto diverse ma unite dalla capacità di uno sguardo profondo sul paesaggio e sulla cultura che in questo paesaggio si è prodotta e si produce. L’abbiamo presentato, sabato scorso, in un luogo meraviglioso: la sala del Polittico del Lotto dei Musei Civici di Recanati (dove ci sono anche un paio di notevolissime annunciazioni/incarnazioni); poi, sul più bello, mentre Renata leggeva del suo incontro col gatto di Lotto, il diavolo (il gatto?) ci ha messo la coda: è andata via la luce nel Museo e in tutto il quartiere e ci siamo ritrovati a leggere il racconto alla luce di un telefonino-torcia, al cospetto di un’annunciazione appena illuminata dal riflesso della luce sul libro. Una cosa molto suggestiva, ma che ha impedito al pubblico di comprare una copia del libro: si può rimediare.

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